L'essere
demoniaco è, nell'economia dell'opera nietzscheana, una figurazione simbolica
costante e di notevole rilievo: basti pensare, ad esempio, all'aforisma 341 de La gaia scienza. In questo aforisma,
intitolato Il peso più grande,
troviamo una delle prime formulazioni dell'eterno ritorno del divenire, lo
snodo concettuale forse più importante del pensiero nietzscheano. In questo
caso, la formula dell'eterno ritorno è espressa in forma dubitativa, attraverso
la presentificazione di un Dämon
furtivamente strisciante che porta un messaggio: «Questa vita, come tu ora la
vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli
volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo (...)»[1].
Sorvolando sul fatto che qui troviamo uno dei primi tentativi di portare ad
espressione il pensiero abissale dell'eterno ritorno, che presenta quindi
ancora una forma estremamente abbozzata e, per così dire, ingenua, rispetto a
quella che sarà poi la ripresa del tema in Così
parlò Zarathustra, riteniamo utile soffermarci su un tratto fondamentale
della situazione descritta: il demone striscia «nella più solitaria delle
solitudini»[2].
Si può comprendere da questa connotazione come il tratto essenziale
dell'annuncio da parte del demone dell'eterno ritorno sia quindi la solitudine:
il soggetto, che è posto dinnanzi al drastico aut-aut tra accettazione
rassegnata della ripetizione di ogni singolo evento (versione volgare e
nichilistica dell'eterno ritorno, come viene esposto da Nietzsche in Così parlò Zarathustra[3])
e accettazione creatrice positiva del divenire di ogni valore e criterio
stabile inerente alla realtà, caratteristica essenziale dell'oltreuomo, è colto nella sua più totale
solitudine. La decisione del soggetto che viene attraversato da tale esperienza
è quindi una decisione che mette in gioco l'intera personalità senza che vi
possa essere riferimento ad alcun valore morale di comportamento che la guidi
saldamente: questa dinamica messa in moto dal demone è quindi per se stessa
produttiva nel soggetto - corpo che deve affrontarla.
L'elemento della
solitudine come matrice produttiva e creatrice di nuove forme espressive ci
conduce ad un breve attraversamento del necessario passaggio nietzscheano che
fa da contraltare immediato all'aforisma de La
gaia scienza preso in esame. Ci riferiamo in questo caso al famoso capitolo
di Così parlò Zarathustra intitolato La visione e l'enigma. Zarathustra
racconta ad alcuni naviganti un enigma: questo racconto assume però la forma di
un monologo, in quanto esso implica una selettività radicale. In questo senso
possiamo dunque comprendere come il racconto di Zarathustra sia il racconto di
un solitario, carattere del protagonista che continuamente ricorre in tutta
l'opera presa in considerazione. Riportando le illuminanti parole di
Giangiorgio Pasqualotto a riguardo, possiamo dire che «si possono interpretare
i dialoghi di Zarathustra come un unico, grande monologo», e «le relazioni tra
Zarathustra e gli altri elementi presenti nel racconto (cose, animali e
personaggi) come relazioni interne
allo stesso Zarathustra»[4],
riuscendo così a cogliere l'intero svolgimento delle esperienze di Zarathustra
come processo di trasformazione in divenire di prospettive incrociate che
vengono a determinare quel centro di forza che è la personalità instabile del
protagonista. Ma, gli elementi di affinità tra l'aforisma de La gaia scienza e La visione e l'enigma non finiscono qui: anche nel passo di Così parlò Zarathustra troviamo infatti
la presenza di un essere demoniaco, metà nano e metà talpa, evidente
figurazione simbolica dello spirito di gravità. Occorre mettere brevemente in
luce che cosa si intenda nella filosofia nietzscheana per "spirito di
gravità": può essere definito come «contromovimento alla faticosa ascesa
verso l'oltreuomo»[5];
esso rappresenta più in generale lo spirito
della plebe, ovvero lo spirito stagnante nella mediocrità,
nell'accontentabilità delle virtù meschine, destinato a vivere legato a
rapporti di trascendenza. Nel caso specifico de La visione e l'enigma, il nano assolve alla funzione di «stillare
pensieri-gocce di piombo» nel cervello di Zarathustra: durante la faticosa
ascesa, egli è rappresentato come figura re-attiva di segno radicalmente
opposto a quella del protagonista dell'opera. Ma ancor più fondamentale risulta
essere il ruolo giocato da questa grottesca bestia nel momento essenziale
dell'episodio, ovvero quello che si evolve di fronte alla porta carraia: il
nano infatti, «prende il racconto di Zarathustra come rappresentazione di una teoria, non come resoconto di un'esperienza»[6],
e, in questo senso, rappresenta la concezione banale e rassegnata dell'eterno
ritorno. Il nano non comprende che l'attimo immenso è il momento in cui la
totalità della personalità del soggetto-corpo coinvolto esperisce che «tutte le cose sono così saldamente annodate l'una
all'altra, che questo attimo trae dietro tutte
le cose avvenire. Dunque anche se
stesso»[7].
Il nano quindi non comprende il nucleo fondamentale dell'esperienza dell'eterno
ritorno: possiamo dire, sbaglia perché tenta di comprenderlo concettualmente.
Dopo aver
chiarito il ruolo rivestito dall'essere demoniaco che accompagna Zarathustra in
questo episodio, risulta ora necessario fare alcune considerazioni: in primo
luogo, è importante notare come il nano-talpa si collochi in un orizzonte
tematico tipico della letteratura, ovvero quello dell'essere subdolo
ingannatore che interviene re-attivamente a modificare le strutture originarie
di un soggetto. In secondo luogo, bisogna tenere presente che questo intervento
re-attivo contiene in sé la possibilità di essere trasformato in attivo. Lo
spirito di gravità, infatti, intervenendo in modo ostile nei confronti di
Zarathustra, innesca ciononostante una radicale metamorfosi nella sua
personalità, obbligandolo a passare per una drastica decisione («Alt, nano!
Dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte sono io - : tu non conosci il mio
pensiero abissale! Questo - tu non
potresti sopportarlo!»[8]);
potremmo spingerci a dire che soltanto a causa dell'intervento del nano, e, di
conseguenza, in opposizione ad esso, Zarathustra riesce a determinare il senso
dell'esperienza radicale dell'attimo immenso, e a fargli addirittura dire: «Tu
sei un dio, e mai intesi cosa più divina!»[9].
Si compie così una trasvalutazione in senso attivo sia dell'essere demoniaco,
che assume i tratti di un dio, sia del soggetto-corpo messo in gioco
dall'intervento del nano; trasvalutazione che si configura come passare oltre la forma dell'opposizione
risentita allo stesso essere grottesco, sia come passaggio indicante la figura
del fanciullo descritta da Nietzsche nel capitolo Delle tre metamorfosi.
In ultima
battuta, vorremmo soffermarci brevemente su quello che a noi è sembrato un
altro luogo della letteratura (anche se, in questo caso, non filosofica)
dell'Ottocento, in cui emerge in modo evidente la stessa dinamica messa in luce
nelle considerazioni precedenti: stiamo parlando del capolavoro di Lewis
Carroll, Le avventure di Alice nel paese
delle Meraviglie. Risulta chiaro come, nel corso dello sviluppo narrativo
di quest'opera, la stabilità del soggetto Alice sia continuamente messa in
discussione dagli indovinelli a lei posti dagli strani esseri che abitano il
Paese delle Meraviglie: indovinelli che catapultano Alice in una dimensione
polemica del discorso, attraverso la quale la protagonista è posta in un
orizzonte esperienziale che la coinvolge in toto, innescando la presa di
coscienza della completa instabilità del suo soggetto. Riprendendo la puntuale
analisi di Stefano Bartezzaghi: «Alice ci racconta che bisogna essere sempre
pronti per le trasformazioni: quelle che abbiamo progettato, quelle che
aspettiamo con ansia, quelle a cui ci prepariamo con studio e abnegazione, ma
anche quelle inattese, che avvengono perché il mondo scorre o perché il mondo
degli altri non coincide mai con il nostro»[10].
L'intervento delle numerose creature con cui viene in contatto Alice è
esperienza di constatazione radicale del divenire, e, azzardiamo dunque, di
scoperta che «tutte le cose sono così saldamente annodate l'una all'altra, che
questo attimo trae dietro tutte le
cose avvenire. Dunque anche se
stesso». In Alice troviamo dunque la
stessa dinamica provocata dall'intervento dello spirito demoniaco di gravità
nei luoghi nietzscheani in precedenza presi in considerazione: l'essere
demoniaco catapulta il soggetto nella Bottega
del pecora, quel luogo così stimolante e ricco di significati nel quale
l'intera disposizione degli oggetti si ridisegna ogni volta che Alice punta lo
sguardo su uno scaffale vuoto. Luogo che, ci permettiamo di denominare, con un
pizzico di fantasia e intuizione, lasciando spazio ad ulteriori riflessioni, una
Delfi in Wonderland.
[1] F. Nietzsche, La gaia scienza e idilli di Messina, Adelphi, Milano, 2011, p. 248.
[3] Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, BUR, Milano,
2011, Il convalescente. In questo
capitolo dell'opera, è significativo il fatto che siano le bestie a comprendere
l'eterno ritorno in senso volgare: ciò può creare un evidente collegamento con
l'essere metà nano e metà talpa de La
visione e l'enigma, anch'esso essere demoniaco con evidenti aspetti ferini
e anch'esso interprete in senso volgare e banale dell'eterno ritorno.
[4] Cfr. G. Pasqualotto, Commento a Così parlò Zarathustra, BUR,
Milano, 2011, p. 377.
[5] A. Giacomelli, Simbolica per tutti e per nessuno. Stile e
figurazione nello Zarathustra di Nietzsche, Mimesis, Milano-Udine, 2012, p.
191.
[6] G. Pasqualotto, Commento a Così parlò Zarathustra, BUR,
Milano, 2011, p. 468.
[7] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, BUR, Milano,
2011, p. 182.
[8] Ivi, p. 181.
[9] F. Nietzsche, La gaia scienza e idilli di Messina, Adelphi, Milano, 2011, p. 249.
[10] S. Bartezzaghi, Il patto con l'unicorno, p. XXIV, in
L.Carroll, Le avventure di Alice nel
paese delle Meraviglie e Al di là dello specchio, Einaudi, Torino, 2003.