sabato 3 gennaio 2015

Il Dämon: enigma e decostruzione del soggetto tra Nietzsche e Carroll

L'essere demoniaco è, nell'economia dell'opera nietzscheana, una figurazione simbolica costante e di notevole rilievo: basti pensare, ad esempio, all'aforisma 341 de La gaia scienza. In questo aforisma, intitolato Il peso più grande, troviamo una delle prime formulazioni dell'eterno ritorno del divenire, lo snodo concettuale forse più importante del pensiero nietzscheano. In questo caso, la formula dell'eterno ritorno è espressa in forma dubitativa, attraverso la presentificazione di un Dämon furtivamente strisciante che porta un messaggio: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo (...)»[1]. Sorvolando sul fatto che qui troviamo uno dei primi tentativi di portare ad espressione il pensiero abissale dell'eterno ritorno, che presenta quindi ancora una forma estremamente abbozzata e, per così dire, ingenua, rispetto a quella che sarà poi la ripresa del tema in Così parlò Zarathustra, riteniamo utile soffermarci su un tratto fondamentale della situazione descritta: il demone striscia «nella più solitaria delle solitudini»[2]. Si può comprendere da questa connotazione come il tratto essenziale dell'annuncio da parte del demone dell'eterno ritorno sia quindi la solitudine: il soggetto, che è posto dinnanzi al drastico aut-aut tra accettazione rassegnata della ripetizione di ogni singolo evento (versione volgare e nichilistica dell'eterno ritorno, come viene esposto da Nietzsche in Così parlò Zarathustra[3]) e accettazione creatrice positiva del divenire di ogni valore e criterio stabile inerente alla realtà, caratteristica essenziale dell'oltreuomo, è colto nella sua più totale solitudine. La decisione del soggetto che viene attraversato da tale esperienza è quindi una decisione che mette in gioco l'intera personalità senza che vi possa essere riferimento ad alcun valore morale di comportamento che la guidi saldamente: questa dinamica messa in moto dal demone è quindi per se stessa produttiva nel soggetto - corpo che deve affrontarla.
L'elemento della solitudine come matrice produttiva e creatrice di nuove forme espressive ci conduce ad un breve attraversamento del necessario passaggio nietzscheano che fa da contraltare immediato all'aforisma de La gaia scienza preso in esame. Ci riferiamo in questo caso al famoso capitolo di Così parlò Zarathustra intitolato La visione e l'enigma. Zarathustra racconta ad alcuni naviganti un enigma: questo racconto assume però la forma di un monologo, in quanto esso implica una selettività radicale. In questo senso possiamo dunque comprendere come il racconto di Zarathustra sia il racconto di un solitario, carattere del protagonista che continuamente ricorre in tutta l'opera presa in considerazione. Riportando le illuminanti parole di Giangiorgio Pasqualotto a riguardo, possiamo dire che «si possono interpretare i dialoghi di Zarathustra come un unico, grande monologo», e «le relazioni tra Zarathustra e gli altri elementi presenti nel racconto (cose, animali e personaggi) come relazioni interne allo stesso Zarathustra»[4], riuscendo così a cogliere l'intero svolgimento delle esperienze di Zarathustra come processo di trasformazione in divenire di prospettive incrociate che vengono a determinare quel centro di forza che è la personalità instabile del protagonista. Ma, gli elementi di affinità tra l'aforisma de La gaia scienza e La visione e l'enigma non finiscono qui: anche nel passo di Così parlò Zarathustra troviamo infatti la presenza di un essere demoniaco, metà nano e metà talpa, evidente figurazione simbolica dello spirito di gravità. Occorre mettere brevemente in luce che cosa si intenda nella filosofia nietzscheana per "spirito di gravità": può essere definito come «contromovimento alla faticosa ascesa verso l'oltreuomo»[5]; esso rappresenta più in  generale lo spirito della plebe, ovvero lo spirito stagnante nella mediocrità, nell'accontentabilità delle virtù meschine, destinato a vivere legato a rapporti di trascendenza. Nel caso specifico de La visione e l'enigma, il nano assolve alla funzione di «stillare pensieri-gocce di piombo» nel cervello di Zarathustra: durante la faticosa ascesa, egli è rappresentato come figura re-attiva di segno radicalmente opposto a quella del protagonista dell'opera. Ma ancor più fondamentale risulta essere il ruolo giocato da questa grottesca bestia nel momento essenziale dell'episodio, ovvero quello che si evolve di fronte alla porta carraia: il nano infatti, «prende il racconto di Zarathustra come rappresentazione di una teoria, non come resoconto di un'esperienza»[6], e, in questo senso, rappresenta la concezione banale e rassegnata dell'eterno ritorno. Il nano non comprende che l'attimo immenso è il momento in cui la totalità della personalità del soggetto-corpo coinvolto esperisce che «tutte le cose sono così saldamente annodate l'una all'altra, che questo attimo trae dietro tutte le cose avvenire. Dunque anche se stesso»[7]. Il nano quindi non comprende il nucleo fondamentale dell'esperienza dell'eterno ritorno: possiamo dire, sbaglia perché tenta di comprenderlo concettualmente.
Dopo aver chiarito il ruolo rivestito dall'essere demoniaco che accompagna Zarathustra in questo episodio, risulta ora necessario fare alcune considerazioni: in primo luogo, è importante notare come il nano-talpa si collochi in un orizzonte tematico tipico della letteratura, ovvero quello dell'essere subdolo ingannatore che interviene re-attivamente a modificare le strutture originarie di un soggetto. In secondo luogo, bisogna tenere presente che questo intervento re-attivo contiene in sé la possibilità di essere trasformato in attivo. Lo spirito di gravità, infatti, intervenendo in modo ostile nei confronti di Zarathustra, innesca ciononostante una radicale metamorfosi nella sua personalità, obbligandolo a passare per una drastica decisione («Alt, nano! Dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte sono io - : tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo - tu non potresti sopportarlo!»[8]); potremmo spingerci a dire che soltanto a causa dell'intervento del nano, e, di conseguenza, in opposizione ad esso, Zarathustra riesce a determinare il senso dell'esperienza radicale dell'attimo immenso, e a fargli addirittura dire: «Tu sei un dio, e mai intesi cosa più divina!»[9]. Si compie così una trasvalutazione in senso attivo sia dell'essere demoniaco, che assume i tratti di un dio, sia del soggetto-corpo messo in gioco dall'intervento del nano; trasvalutazione che si configura come passare oltre la forma dell'opposizione risentita allo stesso essere grottesco, sia come passaggio indicante la figura del fanciullo descritta da Nietzsche nel capitolo Delle tre metamorfosi.
In ultima battuta, vorremmo soffermarci brevemente su quello che a noi è sembrato un altro luogo della letteratura (anche se, in questo caso, non filosofica) dell'Ottocento, in cui emerge in modo evidente la stessa dinamica messa in luce nelle considerazioni precedenti: stiamo parlando del capolavoro di Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie. Risulta chiaro come, nel corso dello sviluppo narrativo di quest'opera, la stabilità del soggetto Alice sia continuamente messa in discussione dagli indovinelli a lei posti dagli strani esseri che abitano il Paese delle Meraviglie: indovinelli che catapultano Alice in una dimensione polemica del discorso, attraverso la quale la protagonista è posta in un orizzonte esperienziale che la coinvolge in toto, innescando la presa di coscienza della completa instabilità del suo soggetto. Riprendendo la puntuale analisi di Stefano Bartezzaghi: «Alice ci racconta che bisogna essere sempre pronti per le trasformazioni: quelle che abbiamo progettato, quelle che aspettiamo con ansia, quelle a cui ci prepariamo con studio e abnegazione, ma anche quelle inattese, che avvengono perché il mondo scorre o perché il mondo degli altri non coincide mai con il nostro»[10]. L'intervento delle numerose creature con cui viene in contatto Alice è esperienza di constatazione radicale del divenire, e, azzardiamo dunque, di scoperta che «tutte le cose sono così saldamente annodate l'una all'altra, che questo attimo trae dietro tutte le cose avvenire. Dunque anche se stesso». In Alice troviamo dunque la stessa dinamica provocata dall'intervento dello spirito demoniaco di gravità nei luoghi nietzscheani in precedenza presi in considerazione: l'essere demoniaco catapulta il soggetto nella Bottega del pecora, quel luogo così stimolante e ricco di significati nel quale l'intera disposizione degli oggetti si ridisegna ogni volta che Alice punta lo sguardo su uno scaffale vuoto. Luogo che, ci permettiamo di denominare, con un pizzico di fantasia e intuizione, lasciando spazio ad ulteriori riflessioni, una Delfi in Wonderland.





[1] F. Nietzsche, La gaia scienza e idilli di Messina, Adelphi, Milano, 2011, p. 248.
[2] Ibidem.
[3] Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, BUR, Milano, 2011, Il convalescente. In questo capitolo dell'opera, è significativo il fatto che siano le bestie a comprendere l'eterno ritorno in senso volgare: ciò può creare un evidente collegamento con l'essere metà nano e metà talpa de La visione e l'enigma, anch'esso essere demoniaco con evidenti aspetti ferini e anch'esso interprete in senso volgare e banale dell'eterno ritorno.
[4] Cfr. G. Pasqualotto, Commento a Così parlò Zarathustra, BUR, Milano, 2011, p. 377.
[5] A. Giacomelli, Simbolica per tutti e per nessuno. Stile e figurazione nello Zarathustra di Nietzsche, Mimesis, Milano-Udine, 2012, p. 191.
[6] G. Pasqualotto, Commento a Così parlò Zarathustra, BUR, Milano, 2011, p. 468.
[7] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, BUR, Milano, 2011, p. 182.
[8] Ivi, p. 181.
[9] F. Nietzsche, La gaia scienza e idilli di Messina, Adelphi, Milano, 2011, p. 249.
[10] S. Bartezzaghi, Il patto con l'unicorno, p. XXIV, in L.Carroll, Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie e Al di là dello specchio, Einaudi, Torino, 2003.