venerdì 27 marzo 2015

L'artigianato dell'orrore: da Guy de Maupassant ai "Freak Show"

La prima serie di prodotti scaturiti dalla "Bottega della pecora" ci ha lasciato comprensibilmente soddisfatti, perciò abbiamo deciso di proseguire l'esperienza dell'artigianato di bottega, con vostro gradimento. Spero. 

In questo ciclo di produzioni tratteremo a grandi linee e nelle sue diverse sfaccettature la tematica della fascinazione per l’orrido nelle sue variegate manifestazioni. Il percorso, nella sua semplicità, sarà organico e comprenderà disparati punti di riflessione. Inutile affermare, ma quanto mai dovuto, che in questa serie di composizioni ci serviremo della cosiddetta “cinematografia horror”, un genere che ha sempre appassionato e suscita la curiosità degli spettatori. Il mio punto di vista però, non essendo ferrato ed appassionato della visioni di film in genere, andrà a dare un occhio di riguardo ai “Freak Show”, ossia quelle esposizioni ove il pubblico accorreva per scorgere i rinomati “scherzi della natura”, o semplicemente coloro che presentavano caratteristiche biologiche differenti.

Il salto temporale che ho adoperato per “teorizzare”, consentitemi il termine, questo appeal che questa sorta di circhi dimostravano consta poco meno di cinquant’anni, vale a dire le novelle dell’orrore di Guy De Maupassant. Lo scrittore francese visse nella seconda metà dell'800' e viene definito come uno dei padroni del racconto moderno. Lo si ricorda per il romanzo "Bel Ami", uscito nel 1885, ma ciò che più mi ha catturato di questo particolare autore sono le sue produzioni sul fantastico e l'orrido. Questi racconti non furono mai raccolti in una componente organica, ma bensì furono prodotti durante l’arco di tutta la vita dell’autore e pubblicati per annate. Maupassant  introduce la materia dell'artigianato dell'orrore in un racconto magistrale, quale “La madre dei mostri” (La mère aux monstres) appartenente alle novelle che videro la luce nel 1883. Il racconto si svolge in una cittadina francese, dove un amico del narratore, assumendosi le veci di una sorta di “Cicerone dell’orrore” porta alla soglia di una curiosa donna il proprio compagno di viaggi. La storia di questa megera è a dir poco travagliata: fu una contadina costretta a nascondere una gravidanza durante l’adolescenza a causa del suo lignaggio rasoterra e la precarietà della sua occupazione. Il metodo usato per celare la vita che nasceva nel suo grembo è quanto meno bizzarro ed inquietante: un corsetto che comprimeva il corpo esile della donna ed il feto. Ad ogni giorno che trascorreva la povera donna stringeva sempre più veementemente la camicia sino all’ultimo mese di gestazione, inevitabilmente questa subì le amare conseguenze dell' operazione meccanica che deturpava indelebilmente il corpo neonato del pargolo. Una volta vista la luce, l’immonda creatura svelò la sua natura abominevole. Questo essere aveva un capo a punta ed un addome estremamente stretto, tanto da apparire un vero e proprio mostro. Il racconto prosegue nel dimostrare quanto la donna fosse stata scaltra ad utilizzare questa disgrazia: un giorno arrivarono alla casa della donna degli esponenti di un circo locale che pagarono profumatamente l’essere per esporlo nel proprio spettacolo dell’orrore. La donna accettò di buon grado questa proposta e continuò serialmente a “produrre” questi abomini con la compartecipazione, necessaria, di uomini che si intascavano parte della vendita e si offrivano come volontari di generazione di questi poveri individui. La tematica di fondo che voglio analizzare e, data la mia modesta abilità di scrivere probabilmente non riuscirò ad esplicare, è la magnetica fascinazione che coglie i due protagonisti nel presentarsi alla dimora della donna. L’indomabile pulsione nei confronti dell’orrido li costringe a voler scorgere con i propri occhi ciò che tanto ci spaventa e disgusta. L’orrido è tale non perché genera repulsione, ossia solo inizialmente ,per quasi una costrizione sociale siamo spazzati via da questi fenomeni, ma il concreto desiderio interiore di esplicarli ed andare al di là di questi stessi è imprescindibile all’interno dell’essere. De Maupassant arriverà solamente a formulare questo magnetismo dell'orrido, questa forza attrattiva che assorbe l’uomo e lo trascina a voler sperimentare in prima persona la deturpazione dell’esser umano.

"Le Erinni" - Gustave Doré



In caratura minore all’interno dei racconti di Maupassant questo assume la forma di un incontro con la morte stessa. I protagonisti delle novelle fantastiche, poiché l’autore francese scrisse anche altri tipi di novelle, sono esponenti dei più disparati ceti sociali parigini, a voler dimostrare come questa pulsione e timore della morte non sia per nulla elitario, anzi totalizzante per l’umanità stessa che si manifesta in vie assolutamente variegate. In Maupassant il tema della mutilazione è vividamente presente, colui che è stato mutilato o presenta un deficit a livello fisico è una persona relativamente elevata poiché ha esperito la morte, o per meglio dire una parte di egli è definitivamente morta. Il contatto visivo con questa dipartita da parte dello spettatore stesso significa esplicare, in una certa formula, il cosiddetto “ultimo respiro”. L’uomo, per natura, si presume sia naturalmente portato a voler dimostrare e “pre-esperire”, scusatemi la forma triviale. Perciò la domanda successiva è immediata: quale è l’ultimo atto dell’uomo? Morire.



La “giustificazione” ed il motivo che i cosiddetti “Freak Show”, circhi d’esposizione che presero una certa notorietà fra gli anni 30’-50’ negli Stati Uniti ed in misura minore in Europa, è sostanzialmente ciò che poc’anzi ho affermato. Laddove la natura si è comportata in maniera infima, “Natura Matrigna” direbbe Leopardi, nei confronti di taluni sfortunati individui si crea quel punto di contatto fra vita e morte, in un unico tragico corpo. La considerazione susseguente mi ha lasciato stupefatto: “Una generazione che ha superato il primo conflitto mondiale e ha subito attivamente il secondo, come può essere rapita da questo genere di spettacoli?”. La mia risposta è ingenua quanto intuitiva ed immediata: esorcizzare la morte stessa. Nonostante la saturazione che un individuo medio potesse aver subito e provato durante quei funesti anni, lo porta a voler necessariamente esperire in forma teatrale questo genere di orrori. Il legame con il teatro greco è quanto mai immediato e la forma della tragedia è un sostrato sin troppo evidente a tutto ciò, ma non vorrei risultare eccessivamente tedioso nel voler trattare questo ampio argomento e non trovo sia nemmeno la sede adatta.


Una compagnia circense con i suoi Freaks


La conclusione seppur scontata è dovuta: il filo di Arianna che lega l'orrido e la morte stessa si risolve in un voler superare, in qualsia forma, il terrore per il passaggio alla presunta miglior vita. 



Bibliografia:

1) "Racconti fantastici" - Guy De Maupassant, Oscar Mondadori. A cura di Giuseppe Lippi