martedì 14 aprile 2015

Baccanti e Cannibal Holocaust. Percorsi splatter tra grecità e postmoderno



Attraverso tale scena, indubbiamente tra le più efferate e brutali della storia del cinema, entriamo nel cuore del postmoderno. Il nostro intento è quello di considerare Cannibal Holocasut, caposaldo del cinema splatter italiano anni '80, come chiave di lettura dell'estetica postmoderna. Ma in che modo, quella che a prima vista può sembrare una banale e dozzinale scena di violenza gratuita, può essere in grado di attivare moduli interpretativi propri del contemporaneo? La nostra ipotesi è quella di intendere quest'opera come rivelativa del carattere pornografico del postmoderno, ovvero dell'impronta di ipervisibilità e assoluta sovraesposizione dell'immagine non solo in ambito estetico, ma come tratto distintivo dello statuto stesso della realtà. Nell'affrontare tale lavoro, seguiremo le utili indicazioni di Baudrillard riguardo alla pornografia della simulazione.
In prima battuta occorre però intraprendere un passaggio obbligato per un'opera che ci permetta di individuare in modo efficacie il paradigma opposto rispetto a quello emergente nel cinema splatter. Essa consente di rivelare come lo statuto dell'immagine orrorifica e della realtà stessa fosse inteso, in un contesto storico radicalmente diverso, attraverso una dinamica di nascondimento/s-velamento che contrasta con il modello postmoderno. Tale opera è Baccanti di Euripide. Di questa tragedia  vorremmo prendere in considerazione una sequenza in particolare: il racconto della morte di Penteo presente nel quinto episodio. Un servo del re di Tebe, di ritorno dal monte Citerone, luogo nel quale ha appena assistito alla macabra uccisione del suo padrone, si rivolge al coro delle baccanti, in assenza di ogni altro personaggio della città. Il percorso di Penteo verso lo sparagmós, pratica utilizzata nei misteri dionisiaci che prevedeva lo smembramento a mani nude di un animale o di un essere umano, viene descritto nei minimi particolari; attraverso un tessuto linguistico ricercato e un ricco uso di aggettivi, la scena dell'orrore è presentata nel dettaglio: «Agave ha la bava alla bocca e gli occhi stralunati: è fuori di sé, invasata da Dioniso, non bada alle parole di Penteo. Gli prende il braccio sinistro e, puntando il piede sul fianco di quel poveretto, gli strappa tutta la spalla: non poteva farlo da sola, era il dio a darle quella forza. Ino se lo lavora dall'altra parte per farlo a pezzi. Autonoe e tutto lo stuolo delle baccanti gli sono sopra. Non si sentono che urla confuse. Lui si lamenta finché ha fiato. Loro gridano esaltate per la vittoria. Una ha il braccio di Penteo, un'altra il piede ancora infilato nel calzare. Sul tronco gli sono rimaste solo le ossa: gli hanno strappato tutta la carne e, con le mani grondanti di sangue, si lanciano i pezzi come se giocassero a palla»[1].

Pompei, Casa Dei Vettii, Penteo

Risulta evidente da questo passo come l'elemento del macabro e dell'horror sia presente in modo consistente. Potrebbe sembrare, in un primo momento, che lo spezzone di Cannibal Holocaust con cui abbiamo aperto il presente lavoro e la descrizione dello sparagmós di Penteo in Baccanti presentino dinamiche di utilizzo estetico della componente dell'immagine raccapricciante molto simili. In realtà, vorremmo dimostrare il contrario sulla base di alcuni indizi significativi.
In primo luogo, occorre tenere presente che, sebbene minuziosamente descritto, il racconto del servo è mediato: Euripide infatti ricorre all'espediente narrativo dell'inserimento di questo evento macabro nel contesto di un resoconto di un personaggio al coro. Si presenta quindi una tendenza ad un progressivo s-velamento degli elementi più efferati dell'uccisione di Penteo, e non ad una immediata sovraesposizione di determinate immagini come si sarebbe potuta presentare attraverso, ad esempio, un'ipotetica articolazione del dialogo del quarto episodio tra Dioniso e Penteo.
In secondo luogo, la crudeltà e la brutalità dell'evento tragico sono mediate dall'innesto in un preciso schema sacrificale che rimanda a rituali misterici in onore di Dioniso: agisce quindi una componente evidentemente sacrale, nella quale si richiama l'atto con il quale l'iniziato ai misteri dionisiaci, cospargendosi del sangue della vittima, aspirava al ricongiungimento con l'Essere originario superando le forme del principium individuationis.
In terzo ed ultimo luogo, è necessario notare come l'atrocità della scena sia mediata infine dal fallimento dell'anagnōrismós, ovvero dal mancato riconoscimento da parte di Agave del figlio Penteo, che ha la funzione di esasperare il pathos finale della scena: «Penteo si strappa la fascia dai capelli: spera che la povera Agave lo riconosca e non lo uccida. Le accarezza la guancia e le dice: "Sono io, mamma, sono tuo figlio Penteo, il figlio che hai messo al mondo nella casa di Echione! Pietà, mamma, ho sbagliato, ma non ammazzarmi!"»[2]. Ciò contribuisce ad articolare la brutalità dell'evento secondo una dinamica per la quale continua a persistere una componente umbratile e velata agente insieme all'accurata descrizione dell'efferatezza dello smembramento.
Questi tre diversi elementi di mediazione ci consentono di individuare ciò che traccia la distinzione netta tra un uso dell'ingrediente horror messo in opera da una dialettica dis-velantesi, come emerge da Baccanti, e tra un utilizzo di questo stesso fattore in senso pornografico e ipervisibile, come invece in Cannibal Holocaust.
Nella scena dello squartamento della tartaruga infatti, vengono a mancare i tratti distintivi messi in luce precedentemente a proposito dello sparagmós di Penteo. Nell'economia generale del film non trova spazio alcuna mediazione.
In primo luogo, il ritrovamento del materiale girato dai reporter permette al professor Harold Monroe di prendere visione diretta delle immagini che testimoniano la bestialità e la disumanità della troupe: la realtà gli viene letteralmente "sbattuta in faccia", senza che vi possa essere alcuno spazio per un qualche tipo di distacco nella fruizione.
In secondo luogo, nel particolare della scena della tartaruga, non vi è alcuna sacralità che agisce retroattivamente all'azione compiuta dai reporter: il loro agire si caratterizza per una totale e smodata barbarie che non tende ad alcun recupero di una condizione originaria di unione con la totalità.
Infine, la scena gioca unicamente sugli aspetti fisici e corporali, secondo i canoni propri del genere splatter, eliminando ogni possibilità di coinvolgimento in elementi umani e caratteriali di singoli personaggi o flussi narrativi: i particolari sono ostinatamente posti di fronte allo spettatore, senza che possa trovare spazio l'immaginazione. Qui l'immagine autoreferenziale domina: l'eccesso e la smoderatezza rendono difficilmente sopportabile la visione.
Avendo tratteggiato in questo modo gli elementi che permettono di definire un radicale cambio di paradigma nell'uso del macabro e del ripugnante tra la concezione tragica greca e i labili confini del postmoderno, siamo ora giustificati a tentare di elaborare, a partire da questo assunto, una sistemazione concettuale più accurata dei tratti distintivi del postmoderno. In tale tentativo, seguiremo la riflessione di un noto critico e teorico della postmodernità: Jean Baudrillard.
Nel contesto della sua valutazione del postmoderno come «estasi della comunicazione», Baudrillard riconosce come quest'epoca sia caratterizzata da una diffusione talmente capillare e diversificata della derealizzazione mediatica (da lui chiamata simulazione) da non permettere più di rinvenire alcuna distinzione tra essenza ed apparenza, alcun criterio stabile di verità che possa fondare pretese di oggettività nella realtà. L'iper-realtà ha definitivamente avuto la meglio sull'opacità e sul carattere umbratile della realtà, ha compiuto il delitto perfetto: «Il delitto risiede in ciò: si giunge alla perfezione della sua realizzazione totale, e questa completezza è una fine. Non c'è altra destinazione, né esiste "altro". Il delitto perfetto distrugge l'alterità: è il regno dello stesso, del medesimo, dell'identico»[3].
Per meglio definire questa contrapposizione tra realtà simulazione e opacità della realtà da recuperare dopo il delitto perfetto compiuto dai media, Baudrillard propone una distinzione tra erotismo dell'illusione e pornografia della simulazione.
L'ambito dell'erotico si qualifica come l'ambito della seduzione; la realtà e l'immagine si presentano come dis-velantesi, secondo il modello proprio dell'aletheia tematizzata da Heidegger. Dice Baudrillard: «La seduzione sottrae qualcosa all'ordine del visibile»[4], ovvero colloca la realtà in una dinamica di luce - oscurità, sottraendo l'immagine all'iperesposizione.
L'ambito del pornografico invece si caratterizza per «l'assoluta vicinanza della cosa vista (...) ipervisione in primo piano, dimensione senza distanza, promiscuità totale dello sguardo con ciò che vede - prostituzione dello sguardo (...) è osceno ciò che (...) viene offerto nudo, senza segreti, alla fagocitazione immediata»[5].
Risulta chiaro dunque come Baudrillard, tracciando questa distinzione tra i due ambiti, pensi alla differenza tra lo statuto della realtà precedente il postmoderno e tipico del postmoderno. In questo senso è possibile far reagire la riflessione del filosofo francese, della quale siamo debitori, con la nostra analisi. Il cinema splatter, in particolare Cannibal Holocaust, può essere inteso come esemplificazione del carattere pornografico della realtà contemporanea, nella quale tutto è visto perfettamente ed esposto oscenamente; l'elemento del macabro è fine a se stesso, ed il suo utilizzo svela esattamente le logiche tipiche del postmoderno. Baccanti è l'opera alla quale abbiamo fatto riferimento invece per mostrare come in essa agisca una dinamica propriamente erotica nel racconto della morte di Penteo, mostrando gli elementi utili a contrassegnare in questo modo il suo statuto.
Senza necessariamente seguire Baudrillard negli esiti della sua riflessione, che conducono ad un tentativo di restituire il carattere illusorio della realtà attraverso la fotografia analogica, e senza, d'altro canto, lanciarci in nostalgici tentativi di recupero di caratteri propri della grecità mai più riattualizzabili, preferiamo concludere proponendo una questione che potrebbe produrre fruttuose considerazioni. Non è possibile forse interpretare un film splatter, quale è Cannibal Holocaust, con il suo uso enormemente esagerato di particolari horror destabilizzanti e rivoltanti, come un film critico dello stesso statuto pornografico della realtà? Ovvero, non è possibile intenderlo come una ritorsione parodica su se stesso tramite un'esasperazione degli stilemi propri di tale genere cinematografico, che abbiamo visto essere rivelativi di tendenze ben più generali del contemporaneo? O dobbiamo forse avvicinarci di più ai giorni nostri per riscontrare tali logiche nella produzione cinematografica, chiamando in causa magari il cinema di Tarantino?




[1] Euripide, Baccanti, trad. it. di D. Susanetti, Carocci, Roma, 2010, p. 119.
[2] Ibidem.
[3] J. Baudrillard, Parole Chiave, trad. it. di S. De Amicis, Armando, Roma, 2002,  pp. 48-49.
[4] J. Baudrillard, Della seduzione, trad. it. di P. Lalli, SE, Milano, 1997, p. 44.
[5] J. Baudrillard, Oscenità della comunicazione, in Il sogno della merce, a cura di V. Codeluppi, Lupetti, Milano, 1987,  p. 53.

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