lunedì 27 aprile 2015

Il cinema, l'impossibile e l'intersoggettivo



Per quest'uscita di lavori della nostra Bottega, dedicata al tema dello sguardo, ho deciso di far riferimento al film del 1951 Strangers on a train, in Italia uscito con il titolo Delitto per delitto (L'altro uomo)1, di Alfred Hitchcock. Tenteremo di mettere in luce una dinamica complessa segnalata dal mezzo cinematografico che potremmo riassumere come dipendenza dell'uomo dal registro del significante, cercando di argomentare come questo possa disporci ad un ripensamento delle nostre pratiche, non solo di spettatori, ma anche di "soggetti supposti impegnati a pensare" in generale.
Mi concentrerò per lo più su due sequenze di grande interesse: l'omicidio di Miriam ripreso attraverso il riflesso degli occhiali della vittima e la coazione a ripetere attraverso cui Bruno, conversando con un'annoiata signora borghese ad un ricevimento, la sottopone ad uno strangolamento simulato, un “gioco di società” che se dal lato della signora è bovaristico, isterico, dal lato di Bruno mostra il proprio carattere psicotico. Quest'ultimo infatti, guardato dalla sorella di Ann Morton, anch'essa bionda e occhialuta come Miriam, sfiora la tragedia dato che in preda ad un automatismo non cosciente, Bruno non riesce a fermarsi e quasi uccide la signora.
Per cominciare con la scena dell'omicidio di Miriam, la sua specificità è quella di esser rappresentata nel riflesso degli occhiali della vittima caduti a terra durante la colluttazione.


Possiamo fin da subito dire che l'azione si svolge per noi, presso uno schermo, ma la particolarità sta nel fatto che lo stesso Bruno pare accorgersene. Dagli occhiali Bruno si sente come spiato, è come se ci fosse effettivamente stato un testimone.
Lo schermo degli occhiali quindi a) guarda il delitto di Bruno, b) ci dispone come guardanti suscitando in noi, non solo l'orrore per l'assassinio, ma anche e contraddittoriamente ci fa entrare nell'alveo delle preoccupazioni di Bruno: si deve sbrigare altrimenti sarà scoperto, ecc...
Insomma tale supporto che è lo schermo lo potremmo definire come ciò che descrive il campo presso cui si dispongono le parti, ma dovremmo aggiungere anche che il campo è dove emergono le possibilità e le impossibilità implicate in un determinato regime di relazioni tra parti, nonché l'articolazione legale ivi implicata. Nel caso specifico emerge l'oscenità dell'assassinio, il suo impattare in questa fattispecie con le regole di convivenza (il che emerge sia nel nostro orrore che nella circospezione di Bruno) e al tempo stesso emerge l'oscena tendenza ad entrare in contatto, benchè mediatamente, con tali eventi traumatici (guardarli in questo caso da parte nostra, compiere l'omicidio da parte del delirante Bruno). Abbiamo cioè descritto una legalità, ma che ne é dell'impossibilità?
Volendo procedere in questo senso ci potremmo chiedere chi sta guardando Bruno secondo Bruno stesso, al che ci dovremmo rispondere che è la sua vittima che lo sta guardando. Miriam, nei suo occhiali, sta guardando il suo assassinio e la propria uccisione.
Non ci dobbiamo però dimenticare che Miriam viene uccisa al posto di un altro, ovvero il padre di Bruno, suo vero obbiettivo: nell'uccidere Miriam, Bruno sta compiendo l'atto radicale, all'interno dell'ordine simbolico, l'ambito legale, di uccidere suo padre, il significante per la legge stessa.
Possiamo quindi già da subito collegare al supporto degli occhiali una funzione precisa: quella di avvincerci all'interno di una dinamica complessa dove la domanda sorge spontanea: “c'è qualcuno dietro agli occhiali che guarda e chi starebbe poi dietro agli occhiali stessi”?
Possiamo rispondere immediatamente: dietro agli occhiali non c'è nessuno, o meglio c'è il Grande Altro, intendendo per Grande Altro lo stesso regime del significante, la struttura condizione di possibilità di ogni significazione, il sistema di relazioni che determinano la posizione di ogni membro. Bisogna, per capirsi bene, dire che se ogni significante viene a significare qualcosa di determinato solo all'interno del complesso di relazioni che li organizza, il Grande Altro è il significante unario per l'intera struttura di relazioni.
Ci troviamo dinnanzi al paradosso per cui se ogni determinazione si definisce solo all'interno della totalità, necessitiamo contemporaneamente di dire la totalità stessa con un significante che al tempo stesso non significa nulla ed è condizione di possibilità della significazione.
Quanto abbiamo brevemente esposto emerge con forza nella seconda scena che vogliamo analizzare: quella del “nuovo gioco di società” tra Bruno e la signora borghese, ma alla presenza di Barbara Morton.


Anche qui Bruno è guardato, ma succede qualcosa di strano: con un automatismo Bruno serra le mani attorno al collo della donna proprio in quanto è guardato da Barbara. Quest'ultima, in maniera evidente viene al posto di Miriam (portando occhiali simili ed essendo entrambe giovani e bionde).
Non va però dimenticato che Miriam viene al posto del padre di Bruno, possiamo quindi istituire, attraverso la serie Padre-Miriam-Barbara, una relazione riguardante Bruno tra lo sguardo della vittima e l'atto massimamente illegale.
Questa relazione tra sguardo e vittima è evidente, per altro, non solo per la frase di Barbara la quale, sconvolta dal brutto episodio, dice alla sorella: “[Bruno] aveva le mani attorno al collo di quella donna, ma è me che stava strangolando”, ma anche per l'intitolazione data da Bruno al quadro della madre, raffigurante uno spaventoso essere oscuro e sformato, dotato però di uno sguardo agghiacciante, ovvero “il Genitore”; se aggiungiamo poi a questa relazione il fatto che lo sguardo agghiacciante è di colui di cui Bruno si vuol sbarazzare, ovvero suo padre, allora la relazione tra parricidio e l'esser osservato dal padre emerge con forza.

Tutto ciò ci permette di andare più a fondo su quanto sostenevamo poco sopra e cioè che nel supporto che segnala lo sguardo, non cogliamo solo ed eminentemente una significazione determinata, una relazione tra due personaggi, ma cogliamo quell'effetto di discorso che abbiamo definito Grande Altro come condizione di ogni significazione, come elemento che si sottrae alle relazioni pur inerendovi, segnalando un dinamica di complicazione, di decentramento rispetto al concepirsi come coscienza da parte di chi è inserito in questo reticolo di relazioni.
Dobbiamo però ora fermarci un attimo, non abbiamo infatti ancora definito che cosa sia lo sguardo, pur avendo fatto abbondante uso di questo significante. Per procedere ora verso una breve chiarificazione dovremo concentrarci su quella che pare la struttura fondamentale che regge le relazioni all'interno del film e che ci siamo permessi di schematizzare, per altro in maniera molto inadeguata.

Sintetizzando potremmo dire che se Guy rispetta la legge, pur vorrebbe disfarsi di Miriam (lo dice testualmente ad Ann in un impeto di rabbia). E' Bruno a realizzare il suo desiderio, a realizzare ciò che Guy vuole, ponendo quest'ultimo in una situazione di colpevolezza simbolica (è stato realizzato ciò che voleva, ma non avrebbe mai fatto, non gli era permesso fare) e di debito simbolico con Bruno (ciò che Guy ha ottenuto ora lo deve ripagare).
Bruno invece è chi compie lo sconfinamento radicale, ma non in modo diretto (le relazioni violente tra Bruno-Padre e Guy-Miriam non sono mai dirette): in linea tratteggiata abbiamo segnato la relazione violenta, oppositiva che da Bruno va al Padre e con una freccia orientata la situazione di appagamento-colpevolezza che attraverso Miriam invade Guy.
Se appunto Bruno, tormentando Guy, mostra a quest'ultimo la realizzazione del desiderio osceno di quest'ultimo, è invece la madre di Bruno a dire al figlio quanto esso voglia: vuole uccidere quello sguardo osceno e inquisitore.
E' notevole però che proprio quello sguardo, nella seconda scena da noi analizzata, sia quanto scateni l'atto omicida, pur non potendo esser sopportato da Bruno che infatti poi sviene. E' come se Bruno, volendo sopprimere chi sta al posto della legge e lo pone al posto dello scapestrato, inadatto e criminale (Hitchcock ci presenta la severità del Padre che, nell'unica scena in cui lo vediamo paventa la possibilità di rinchiudere in manicomio il figlio), dicevo volendo egli sopprimere il Padre, sul punto di compiere questa negazione, non faccia che affermare quanto vuole sopprimere.
C'è in tutto ciò una volontà di esser punito che nella sua violenza si presenta nella sua veste più distruttiva. Non c'è compromesso di sorta, la Legge deve morire, ma in tutto ciò si mostra come la negazione della legge sia l'impatto distruttivo con essa. Un sistema legale insomma presenta sempre un lato nascosto che nell'opposizione alla legge stessa presenta una componente di godimento: lo sguardo osceno e inquisitore è quanto guarda l'opposizione ad esso stesso e ne gode: ecco l'impossibile nel suo effetto traumatico!
Presenza oscena dello sguardo e parricidio, come dicevamo prima, sono complementari, la legge che si presentifica presso Bruno nel modo dell'opposizione mostra anche un suo lato nascosto, osceno: un'articolazione simbolica che è quanto organizza le significazioni, i posti occupati da ogni membro della relazione, come abbiamo detto prima, e che necessita di un significante che indichi l'intero regime delle relazioni, presentificando però quanto regge quelle relazioni essendone escluso.
Da questo punto di vista ogni soggetto è assogettato al posto da esso occupato nel regime del significante, ma proprio in quanto ogni soggetto si coglie all'interno di questo regime (presso S' insistente su S''), emerge al tempo stesso il regime di dipendenza, di essere per altro, di mancanza originaria a cui è soggetto il soggetto come assogettato. Questo elemento è paradossalmente presente nella relazione della legge proprio in quanto ne è estraneo, in quanto è osceno, fuori dalla scena, fuori dal quadro in cui ci cogliamo guardando lo schermo.
Dice Lacan, parlando di tale elemento paradossale: “è un oggetto che in realtà non è che la presenza di un incavo, di un vuoto, occupabile come dice Freud, da qualsiasi oggetto, e di cui non conosciamo l'istanza se non sotto forma dell'oggetto perduto, piccolo a. L'oggetto piccolo a non è l'origine della pulsione orale. Non è introdotto a titolo del nutrimento primitivo, è introdotto dal fatto che nessun nutrimento soddisferà mai la pulsione orale, se non contornando l'oggetto eternamente mancante”2. Se noi quindi, in questa citazione di Lacan, sostituiamo alla pulsione orale la pulsione scopica possiamo iniziare a capire di cosa si tratta nello sguardo: esso è l'oggetto piccolo a, quell'oggetto mancante che proprio in quanto fa mancanza (da noi rappresentata sopra con S' insistente su S'') è ciò che dinamizza il simbolico proprio nel suo buco da noi colto nel Nome-del-Padre (il significante per la totalità delle relazioni in gioco): è proprio perchè nessuna situazione può appagare la pulsione scopica che noi persistiamo a concepirci come “esseri guardati”3. E' lo scarto di godimento (di muto essere presso sé, regime permesso solo all'Altro) che non può, in quanto scartato dal simbolico, che dinamizzare lo stesso come sua componente complementare e al tempo stesso illecita4. L'oggetto piccolo a é impossibile non in quanto non si attua mai, ma in quanto si attua sempre nella forma del non ammissibile dentro un quadro legale, é ciò che il quadro legale deve elaborare per non frantumarsi.
Abbiamo quindi visto come il cinema con i suoi supporti possa elaborare quest'incandescente materia attraverso la sua capacità di darci a vedere, nella fondamentale ambiguità per cui non solo vediamo qualcosa, ma vediamo qualcosa in quanto siamo presi dallo sguardo, in quanto siamo dati allo sguardo, catturati in un elaborazione che permette di decentrare la serie delle nostre autorappresentazioni, proprio in forza del fatto che siamo noi stessi visti in questo effetto ottico trascendentale, se così posso dire. La nostra coscienza con le sue rappresentazioni qui si scopre determinata da Altro ed è chiamata ad indagare quanto quest'ultimo ha da dirci, ad esempio attraverso il cinema, il quale può talvolta porci nel punto in cui siamo costretti a capirci qualcosa
Va però con forza sottolineato che il capirci qualcosa qui è mediato dal cinema e non va quindi dimenticato quanto afferma lo stesso Hitchcock: “i film muti sono la forma più pura di cinema. […] Quando si racconta una storia al cinema non si dovrebbe ricorrere al dialogo se non quando è impossibile fare altrimenti” (F. Truffaut Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano 2014, p. 51). Nel cinema si assiste sempre di un mostrare, si tratta di espressione visiva e quindi, se volessimo verbalizzare la speranza che regge le nostre brevi riflessioni, questa non sarebbe altro che quella di un invito presso le grandi visioni che il cinema ci presenta.

1La trama potrebbe essere riassunta nel modo seguente: Guy Haines (Farley Granger), un giocatore di tennis che sta attraversando una difficile separazione dalla moglie Miriam (Laura Elliot), la quale non vuole concedere il divorzio per sfruttare il successo del marito, trova in treno quel che parrebbe essere un suo scapestrato ammiratore, Bruno Anthony (Robert Walker). Bruno, discutendo con Guy dell'odio di quest'ultimo per la moglie e della volontà dello sportivo di rifarsi una vita con la figlia del senatore Morton, Ann (Ruth Roman), gli propone uno scambio per cui se il primo avesse ucciso Miriam, il secondo avrebbe dovuto uccidere l'odiato padre del primo. Guy prende la sorprendente proposta per uno scherzo, ma quando Bruno compie il delitto si innesca una dinamica per cui quest'ultimo inizia a perseguitare il primo per fargli compiere il delitto dovuto, minacciando di incriminarlo. Guy infine riesce a fermare Bruno, riscattandosi.
2J. Lacan, Seminario libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2003, p. 174.
3ivi, p. 74.
4Di contro ad alcune ipotesi utopistiche proprie di certo ecologismo che sogna un mondo pulito, armonico e in cui tutte le specie si rispettano in modo molto liberale e il cui sogno credo sarebbe una specie di carta dei diritti inalienabili del terrestre, dove è per altro fin troppo facile capire chi occuperà il posto di Rappresentante della volontà generale che questa carta dovrebbe produrre, bisognerebbe forse mostrare che questo piccolo a non è altro che la nostra merda come quella degli altri componenti dell'ecosistema. Un sistema, un insieme legale, per mantenersi logicamente è soggetto a delle faglie in cui ciò che esso stesso non ammette emerge come ciò che effettivamente implica, il che significa che della merda bisogna farsene qualcosa. Pensare ad un mondo armonico ed edenico vuol dire denegare pericolosamente lo sporco che sostiene la pulizia in quanto tale.


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